Immergersi in uno dei fiordi più magici d’Europa, dimora ospitante di un appassionante campionato mondiale di tuffi
Di Saveria Fiore, foto di Vito Fusco
“La gara è appassionante, e si ritrova infine sul trampolino per l’ultimo tuffo. Non gli interessa più vincere, ha dimostrato a se stesso di poterlo fare. Chiude le palpebre; nel buio trafitto dal sole scorre velocemente la sua vita […] Un respiro profondo e poi giù nell’aria limpida a cercare il mare” (Quel ponte sul fiordo di Furore, Enzo Capuano)
Un salto nelle origini
Nell’atavica operosità della Terra Furoris (come un tempo era denominata Furore), in uno tra i fiordi più belli d’Europa è stata ospitata, per ben 32 edizioni, una spettacolare gara di tuffi che ha raccolto a sé sportivi del panorama internazionale (Spagna, Svizzera, Usa, Danimarca, Bosnia Erzegovina, Italia, Portogallo). Un evento che coniuga l’amore per la natura e la bellezza del paesaggio con il fervore dello sport estremo: tutto ciò reso possibile dall’intraprendenza dell’associazione Marmeeting e del suo presidente Oreste Varese.
I pionieri tedeschi
E in un attimo ci si tuffa dalla Germania del 1811, dove è avvenuta la nascita di questo affascinante sport, all’impareggiabile bellezza della Costiera amalfitana del ventunesimo secolo. Un tuffo che parte da lontano. I salinatori di Halle (Germania), che lavoravano alla vaporizzazione dell’acqua del fiume Saale, per estrarne il sale, si lanciavano poi in pozze d’acqua dolce per purgarsi dai residui. L’ebbrezza di essere sospesi ad un soffio dall’acqua, la passione di quel gesto contagiò i ginnasti, che lo trovarono un ottimo modo per esercitarsi nelle loro acrobazie proteggendosi così dal pericolo delle eventuali cadute al suolo.
Le declinazioni moderne
Oggi, i tuffi hanno una tecnica più raffinata; tant’è vero che assumono spesso denominazioni di animali dalle eleganti posture. Uno tra i più semplici, col corpo teso e le braccia aperte, viene chiamato “a rondine”, in Svezia, e “a cigno” negli Stati Uniti. In Italia, ancor più romanticamente diciamo “ad angelo”. Non è un caso, infatti, che uno dei più grandi protagonisti italiani di tale gioco sportivo, Klaus Dibiasi, fosse conosciuto come l’”Angelo Azzurro”.






